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Natanti all’estero: tutto da rifare

Siamo consapevoli che è brutto sottolinearlo, ma lo avevamo già affermato e scritto. La cosiddetta autorizzazione concepita per consentire ai natanti italiani di uscire dalle nostre acque territoriali si è rivelata un notevole insuccesso. Si tratta di una decisione assunta dal nostro Governo senza consultare le parti interessate, ovvero le autorità marittime estere.

barche a vela ormeggiate
Foto di Tom da Pixabay

Inizialmente celebrata come una grande vittoria, ha fin da subito affrontato numerose difficoltà, a partire dal primo decreto che presentava un modulo disponibile esclusivamente in italiano (!) e da un secondo decreto con il modulo bilingue italiano-inglese di non facile lettura. Successivamente, è seguito un silenzio totale.

Dopo la stagione estiva del 2024, ora sono giunte le conclusioni; come riportato dal quotidiano Il Piccolo di Trieste, la Slovenia ha esplicitamente dichiarato di non accettare il modulo, mentre la Croazia ha concesso una proroga per quest’anno, ma probabilmente nel 2025 adotterà un approccio più rigoroso anche perché sta cercando di evitare un turismo di massa indiscriminato. Non immaginiamo neppure cosa possano pensare i paesi extra UE, considerando che sul modulo, in un momento di megalomania, è stata inserita la dicitura “per uso navigazione in acque territoriali straniere”, implicando l’intero globo.

È ormai dal 2020 che ripetiamo che la soluzione più logica e semplice sarebbe quella di creare una targa semplificata, esattamente come avviene per automobili e motocicli. Questo processo risulterebbe molto agevole; si potrebbe utilizzare l’Archivio telematico centrale delle unità da diporto (ATCN) per la registrazione; basterebbe semplicemente modificare le modalità del numero di registrazione per distinguere facilmente tra le due categorie.
Pensiamo che non sarebbe eccessivamente problematico stabilire un giusto compenso per il costo di queste registrazioni, ad esempio 20€ per metro di lunghezza; pertanto, l’importo massimo raggiungerebbe i 200€, corrispondenti mediamente al 5% del costo annuale dell’ormeggio. Considerando almeno 300.000 natanti a una media di 100€ ciascuno, si tratterebbe di un totale di 30 milioni di euro, somma che potrebbe essere destinate, ad esempio, ad agevolare lo smaltimento delle imbarcazioni da demolire seguendo l’esempio della Francia. La registrazione potrebbe essere rinnovata solo in occasione del cambio di proprietario o della sostituzione di componenti essenziali dell’imbarcazione (ad esempio il motore).

Inoltre, considerando i numerosi diportisti che si rivolgono alle bandiere straniere, con costi sicuramente superiori ai 400€ / 500€ e con maggiori difficoltà (quali la barriera linguistica, le complicazioni nel seguire normative straniere e talvolta la necessità di avere un indirizzo nel paese estero), non credo che una simile cifra per la registrazione possa compromettere il settore del diporto; al contrario, questa iniziativa contribuirebbe a sostenere il comparto poiché tali risorse rimarrebbero all’interno del territorio nazionale.

Infine, con l’introduzione di questa targa semplificata ci allineeremmo alle normative vigenti nella maggior parte dei paesi europei.

Sarebbe opportuno affrontare anche la questione delle patenti nautiche. È possibile semplificare ulteriormente la burocrazia in questo ambito: ad esempio in molti paesi la prova pratica viene attestata direttamente dall’istruttore della scuola, il quale è certamente in grado di valutare il candidato con maggiore efficacia rispetto a una prova di trenta minuti e un quarto di miglio di navigazione prevista per l’esame. Inoltre, la distinzione tra patente per vela e patente per motore risulta piuttosto superflua. Non sono le cinque domande dei quiz o il recupero di un uomo in mare tramite una manovra che nella realtà nessuno eseguirebbe a renderti un esperto velista. Tuttavia, torneremo su questo tema in un prossimo articolo.

 

Ultimo aggiornamento: 5 Dicembre 2024 by Redazione

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Author: Redazione

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